7 dicembre 2010
Ninni Morgia & William Parker - “Prism” – 2xlp (Ultramarine)
Di ritorno su queste lande dopo uno iato che non merita arrampicate di specchio, era giusto ripartire, coerentemente, con un disco che non merita queste lande, in senso “buono”, ossia si parla di un album che, per ascendenze e livello realizzativo, figurerebbe bene anche in luoghi meno ameni. Ma dato che l’obiettivo di Ninni Morgia, chitarrista siculo-newyorkese da anni imperterrito agitatore dei sottoboschi musicali della Grande Mela, non è quello di referenziarsi nei “giri che contano”, ma più prosaicamente gli interessa produrre ottima musica (per davvero), non si sentirà troppo fuori posto nei meandri di Pillaloo. E poi, francamente, un po’ di improvvisata come si deve da queste parti ci vuole. Tanto più che la materia che fuoriesce dalla sua chitarra e dai gruppi in cui di volta in volta si è misurato è da tempo prossima tanto ai territori dell’avant-jazz più astratto che a quelli della fire-music più focosa e bendisposta alle derive etno-weird (vedi il la Ninni Morgia Control Unit) o free-rock (i The Right Moves, sempre su Ultramarine). E tanto più, ci ripetiamo e amplifichiamo, che il collaboratore di questa nuova sortita di Morgia è il veteranissimo contrabbassista americano William Parker, uno che le mani non ha mai smesso di sporcarsele nonostante sia uno degli strumentisti più quotati a livello internazionale, al punto che una dozzina d’anni fa, quando era già un gigante riconosciuto, se ne stava a fare dischi con un sublime inetto come Mr. Dorgon, e negli ultimi anni, tra una data e l’altra con Cecil Taylor, ha trovato il tempo di flirtare con grandi “ripescati” come Daniel Carter (già con Morgia nella Control Unit) e Charles Gayle, questo senza dimentare l’esperienza giovanile in Giappone, ancora una volta umile e curioso, e la partecipazione all’esordio dei Seikatsu Kōjyō Iinkai di Kazutoki Umezu. Insomma, da William Parker ci si può aspettare ogni cosa e Morgia lo sa bene, tanto che non fa nulla per mettere a suo agio il corpulento bassista. E così “Prism” presenta quattro facciate per quindici tracce numerate fatte di suoni autenticamente spettrali. La chitarra di Morgia si scompagina in baluginanti particelle elettroniche, imprendibili e graffianti, imparentate col puntilismo di Stockhausen, ora frementi come foglie scosse dalle folate d’autunno (Prism I con il tremolio delle corde di Parker), ora avvolgenti del freddo abbraccio di un elettrodomestico impazzito (II) mentre Parker esplora circospette scale jazz, ma non manca di cimentarsi anche con un flauto spagnolo in una sgraziata e scheletrica fanfara (V, con Morgia che appare e scompare sotto la soglia dell’ombra) e con una specie di zufolo (IX) in un numero di astrazione lunare che rimanda al meraviglioso e misconosciuto capolavoro Esp “We Move Together” del Sea Ensemble. Ma è proprio in un livello d’astrazione jazz notturna raramente raggiunto, sotto il cielo terso di un’arcadia gelida e irreale, in cui la chitarra assume strane accentuazioni di cicaleccio percussivo (XIV) fino a stemperarsi nel più ipnotico dei feedback (IV), che sta il segreto di un album destinato a tornare a tormentare chi lo ascolta. Un disco che ha forse qualche lungaggine, ma dispensata con tanta classe e una vocazione all’impressionismo, di livello quasi “giapponese”, che non si poteva dare per scontata ed è una bellissima sorpresa.
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