Ancora Michigan, due tipi di carcasse: copertoni scoppiati ai lati della strada e animali non identificabili, il solito vuoto siderale intorno, da pianura padana vista da molto lontano, fattorie, silos, boschetti neri, gigantografie pubblicitarie. Comincia con noi il 15 agosto 2007 su qualche highway a far finta di essere qualcun altro. Evasi, assassini, drogati, gente che ha lasciato apposta le impronte sul luogo del delitto solo per provare l'adrenalina di un ulteriore inseguimento. O ancora folli strangolatori di chitarre e assatanati pigiatori di pedali, gente che anche per azionare il tostapane riesce a metterci di mezzo un po' di circuit bending. Siamo invece nati in italì, e tanto per cominciare stiamo ben attenti a non sbagliare uscita prima di ritrovarci con le chiappe a terra, vale a dire in Ohio. Lì un'altra volta, magari. Oggi invece siamo diretti in quel di Ann Arbor. Poi, una volta arrivati, dovremo trovare il punto g.Fuori rincontriamo anche Josh degli Our Brother the Native. Ci dice che stasera ci saranno più o meno tutti quellli che hanno anche solo un minimo progetto musicale, lì in Michigan. Esagera, ma la cosa ci spaventa e ci eccita non poco, anche perché sappiamo che sarà l'ultimo concerto a cui assisteremo prima della partenza. Stiamo cercando di rifarci del tempo perso altrove, cercando di non pensare che ci siam giocati per un solo giorno i Wolf Eyes e Panicsville che suonavano a East Lansing, a due passi dal posto dov'eravamo alloggiati. Non si capisce ancora bene chi suonerà ma la cosa sembra più promettente del previsto. I furgoni cominciano ad affluire come le station wagon nell'incipit di "Rumore bianco" ma non è così bello, temo. Dentro i furgoni però di roba per fare rumore ce n'è abbastanza per tutti.
Per ora ci allontaniamo, ben consci che se mangeremo non sarà una pizza e se mangeremo una pizza non torneremo indietro per raccontarlo. Il mini-market più vicino non offre gran che, intravediamo appena la faccia annoiata dell'indiano che lo gestisce mentre fa sparire chissà cosa sotto il bancone. Ancora una volta ci perdiamo in mezzo ai filari di case che staremmo a guardare per delle ore. Passiamo sotto i tralicci da cui pendono tutta una serie di scarpe da ginnastica annodate fra loro: una tradizione qui, oppure un'abile mossa pubblicitaria della nike. Sulla veranda degli studenti ci guardano un po' incuriositi mentre scattiamo foto.Lì vicino, questione di pochi isolati, c'è la University of Michigan dove insegna non so cosa Eric Cook, ex batterista dei mitici Gravitar e musicista elettronico per i fatti suoi. Mesi dopo mi dirà che gente come Olson e Dilloway facevano le stesse cose che fanno oggi già anni fa (grafica, musica, produzioni su produzioni) ipotizzando che l'unica differenza fra vecchie e nuove generazioni sia proprio questa perseveranza, questa convinzione che sembrerebbe non essere ancora scemata, di poter andare avanti all'infinito. Qualche dubbio, in verità, resta, nonostante sia difficile nascondersi che una scena musicale così trasversale forse l'America non l'ha mai avuta.
Al nostro ritorno la situazione si è decisamente movimentata. La veranda scricchiola sotto il peso di gente che muove i deretani al suono di musica r'n'b, e sarà pure fatto con autoironia (o vera passione, chissà) ma è davvero troppo per un inviato di pillaloo a cui non resta altro che tapparsi le orecchie e entrare abbastanza indignato. Siamo qui per la musica di merda e merda music avremo.
(i Crosse Humiliation han fatto uscire un paio di cassette per la Chondritic, la prima delle quali omonima, è proprio quell'harsh lì, la seconda - "A Very Young Rider" - cambia totalmente stile e preferisce atmosfere più cupe, una tendenza sempre più marcata nel Midwest noise. Ho scoperto solo dopo che ne fa parte Grey Holger/Hive Mind che quindi nella stessa serata dovrebbe aver suonato anche come Kvlts).
Appena sentiamo mezza nota ci ricatapultiamo di sotto e troviamo nientemeno che i Demons, vale a dire Nate Young dei Wolf Eyes (con espressione non proprio lucida) accompagnato dalla dolce metà Alivia Zilich e da quello che mi sembra un alcolizzato all'ultimo stadio (per esclusione quindi Steve Kenney). Ci sono due vecchi synth a fronteggiarsi l'un l'altro, la Zilich in mezzo a proiettare video ipnotici, onirici, rigorosamente in bianco e nero come già fa come Video Madness. I suoni lunghi, psichedelici e inevitabilmente kosmici s'intrecciano in una spirale ancora più lunga, diluita nel vortice delle immagini che scorrono poco più in là, una spirale sul muro che, man mano che passano i minuti, assomiglia sempre di più a un buco spazio-temporale. Davvero freak e con un suo fascino perverso, apprezzabile soprattutto se non sei sobrio, anche se "miracolo" è l'ultima parola che mi viene in mente. Le cose uscite su AA records comunque sono da recuperare.
Si fa strada un pensiero che si era annidato in noi fin dall'inizio alla vista di tanta gente sparsa qua e là, oltre che di amplificatori, pedali e quant'altro portati a spasso per le stanze, e cioé che ci troviamo di fronte a una specie di party o di happening più che a un vero e proprio concerto. Le modalità delle altre esibizioni ci dimostrano che non abbiamo torto, ma anche che è una serata aperta in cui è sì bello divertirsi ed esprimersi ma anche mostrarsi, far vedere che si è parte di una cosa sì sporca ma tanto cool. Puntuale inoltre la ripresa audio e quella video di ogni esibizione che nella merda music non si butta via niente, una cosa questa che sta già stufando da tempo ma che, nonostante tutto, continua ad avere un senso.
C'è una volante della polizia che passa spesso davanti alla casa. Senza rallentare troppo l'andatura tiene d'occhio la veranda traballante e le lattine che man mano si svuotano. Ormai è notte ma giurerei di aver visto il poliziotto che guidava con gli occhiali da sole, ma dentro il punto g si sta così bene che tutto è ridicolo visto da lì. Neanche il tempo di girarsi (sono nella bidonville accanto a uno scatolone ripieno di cassette e di una zucca di halloween di plastica) che un tizio ha appena unito lo stereo a non so che macchinario e comincia a far girare dei vinili e a distorcere il suono o a inserirci ritmiche diverse. O almeno mi sembra di ricordare. Indagando scopro che trattasi di Brian Polsgrove della HFH records e che ha collaborato con Warning Sign e con qualche altro progetto embrionale sempre in Michigan. Vedremo cosa combinerà il ragazzo in futuro, che oltretutto ha solo 20 anni.
Nel frattempo ci perdiamo qualcosa, forse gli stessi Warning Sign o i Kvlts, più probabilmente quest'ultimi visto il frastuono che a un certo punto arriva da sotto le nostre suole, ma non possiamo garantire fedelmente ogni nostro passo durante la serata.
Certo se era il rumore che cercavo lo trovo in cucina, fra il lavello e lo scolapiatti. E' lì che un misterioso figuro, incappucciato con una hoodie di Luasa Raleon, piazza amplificatore e un Yamaha RS 7000, oggetto che nelle sue mani sembra particolarmente minaccioso. Tutto questo, sia chiaro, non era previsto e il nostro senza prendere contatti ha fatto tutto da solo, è entrato, trovato una presa elettrica disponibile e poi musica maestro! Sta di fatto che partono subito delle basi assordanti su frequenze quasi insostenibili che svuotano in pochi secondi i già rari coraggiosi che si erano avvicinati incuriositi.
A tutt'oggi non siamo ancora riusciti a sapere chi sia l'incappucciato, soprattutto non essendo previsto dall'ipotetico cartellone, ma resterà nel ricordo come una specie di Superman al contrario che, invece di evitare che la metro cada nel vuoto, è alle spalle dell'ultimo vagone a spingere con tutte le sue forze. E mica perché è un sadico: lo fa solo per sentire che rumore farà quando si accartoccerà schiantandosi.
Sul piccolo televisore che si trova davanti al cesso non scorre il presente. Non ci sono notiziari, serials, film, pubblicità. Così come finora abbiamo sentito musiche fatte con strumentazione
Si sta facendo tardi. Si deambula, non si cammina. Ci ritroviamo a descrivere a una tizia il video di Atlas dei Battles su cui poco prima la stessa si dimenava senza conoscere nè canzone nè gruppo. Forse dovrebbe essere sempre così. Impugna il collo spezzato di una bottiglia raccolto da terra solo per buttarlo nell'immondizia, cioé un punto a caso di due piani che sembrano una discarica comunale. Non è comunque male vedere la ragazza roteare quella roba tagliente come se fosse una borsetta di Louis Vitton. Le altre case sono praticamente attaccate: c'è un cortile interno in comune, in alto una luce indica presenze umane e da una finestra al piano terra si vede una coppia digitalizzata: lui al cellulare e lei al portatile. Come non si siano ancora lamentati per il casino che proviene da cinque metri più in là resta un mistero. In Italia sarebbe già arrivato l'esercito. Per l'immondizia dico.
A distoglierci è poco dopo un tonfo che sale dalle profondità della terra, seguito da un suono lamentoso e prolungato. Andiamo a dare un'occhiata e, prima di salutare, facciamo ancora in tempo a vedere una parte del concerto di Envenomist. David Reed si è distinto in questi anni per le spirali dark ambient a nome Luasa Raeolon ("The Poison City", fra l'altro, è uscito per l'italiana Eibon) e certo la sua concezione dell'elettronica è piuttosto lugubre e sinistra. Noi, del resto, non chiediamo di meglio, pur non avendolo seguito con la necessaria attenzione, neanche su cd o cassetta che sia. La sua è un'esibizione in cui al centro di tutto è l'atmosfera morbosa, per cui Reed non si agita né si contorce, muove con grande calma e attenzione le sue manopole, regola volumi, senza mai staccare gli occhi dalla strumentazione. Intorno per una volta c'è grande silenzio, qualcuno è seduto sulla scala che porta alla cantina e sporge la testa per vedere meglio l'uomo severo con la maglietta sudata. Quando usciamo si respira meglio. Non è sempre un bene. Soprattutto se è dal punto g che esci.
(la prima e la terza foto sono ancora di Carlo Cravero)
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