E', questo, il secondo numero di una fanzine di suo abbastanza interessante ma che ci dà anche la possibilità di affrontare altre questioni. Varrebbe la pena parlarne solo per il fatto che Balladry NON è una webzine ma quel simpatico ammasso di carta e inchiostro che, una volta, era il veicolo privilegiato per sapere le cose meglio (e a volte prima) dei magazine ufficiali. Soprattutto dopo gli anni '90, infatti, con l'avvento di internet con tutto quel che ne è conseguito, le fanzine hanno avuto sempre meno spazio e meno voce in capitolo. Ma senza mollare del tutto la presa sull'underground, testimoniando anzi l'inevitabile cortocircuito che si crea poi fra fenomeni nati nel sottobosco, ampiamente documentati (attraverso colonne e colonne di articoli, recensioni, lunghissime interviste e foto in bianco e nero) e le successive esplosioni dei suddetti generi, dal punk-rock/hardcore al death metal, dal grunge al noise-rock fino a gran parte del panorama weirdo che pure si è avvalso per farsi conoscere, rispetto a fenomeni passati, delle piattaforme più diverse. Io stesso, a dire il vero, ho perso le tracce dell'universo fanzinaro e non mi sono interessato più di tanto a quel che fosse sopravvissuto e cosa no, pur sapendo che di certo qualcuno aveva continuato a pubblicarne e ne avesse create di nuove.
Vero anche che qualche meritevole webzine ha ereditato quel ruolo storicamente appartenuto alle fanzine, avvalendosi dell'immediatezza del mezzo (1 o 2.0 che sia) e che con quest'ultime invece, nella maggiorparte dei casi, si rischia di avere spesso fra le mani un prodotto di quell'estetica vintage di cui da tempo bisogna iniziare a diffidare. Bello il ritorno delle cassette e della dimensione DIY (che sottolineiamo, non è mai scomparsa del tutto, e che anzi la Rete ha portato a un altro livello) ma inutile dire che fino a qualche anno fa fare una cassetta era da sfigati e piuttosto ci si bullava sotto casa, nelle redazioni e ai concerti col proprio cd-r homemade. Cos'è cambiato allora rispetto al passato? La trasversalità di una musica che per la prima volta accoglie nel proprio seno e sviluppa un ampio spettro di generi anche molto distanti fra loro (dal folk al noise) è stata resa possibile anche e proprio da un'estetica condivisa e multiforme. Un feeling postmoderno quindi in grado di accomunare tanti elementi preessitenti ma che ha cercato per la prima volta in modo convinto di andare oltre il citazionismo, crogiolandosi in differenti tradizioni e scene ma senza sposarne davvero una in particolare. E se pure è ancora facile riconoscere al primo colpo, anche solo da una copertina, un gruppo di area post-indutriale rispetto a uno più ""indie"", non è poi così scontato che orientarsi nel macrocosmo weird sia diventato così semplice e dove nei concerti il palco possa essere diviso fra i Ponytail e i Robedoor e magari anche i Woods, così come riportato proprio in uno dei report di Balladry.
Bisogna comunque sapere discernere, adesso come vent'anni fa, basandosi sugli esiti musicali. Si spera che alla fine la storia ti darà ragione per quello che suoni e come lo suoni, non per il look fatto di stracci colorati, maschere più o meno fantasiose e l'artwork fintamente dimesso, minimale, bravo tu che hai fatto la scuola d'arte figa nella grande mela. Banalità, certo. Ma non è un caso che anche una fanzine così ben fatta come Balladry, capace di ospitare fra le sue pagine interviste ad artisti antitetici come Jessica Bailiff e Heavy Winged, ma anche ai tizi di Mutant Sounds, foto o lavori grafici di Shawn Reed e Pete Freil, ti lasci poi un sapore strano in bocca. Il risultato è buono ma, se fossi un Ghezzi qualunque, direi che è come artefatto più che fatto ad arte. Pagine patinate, copertina pasticciata ad hoc, polaroid di concerti... non so, forse crescendo si perderà di obiettività e si rischia di pensare che le fanzine fotocopiate - dove il collage era una necessità e non una virtù preconfezionata e ammiccante - erano "meglio di", più sincere. E così come per i dischi anche in questi casi bisogna valutare il risultato finale e non la sincerità di fondo, però l'impressione resta. Così come resta il dubbio che in più di un settore della "scena" siamo ormai alla frutta, colpa anche di una tendenza generale del panorama musicale in cui si alternano solo fenomeni minimi ed estemporanei. Ecco, in quello purtroppo la musica weirdo ha precorso i tempi, ma per fortuna anche nella capacità di allargare lo spettro di possibilità espressive per un musicista dotato di un minimo di mentalità aperta. L'undeground resterà sempre vivo ma già da un po' di tempo c'è voglia di qualcosa di diverso, di qualcuno che abbia voglia di dire qualcosa senza starsi a guardare troppo intorno e senza pensare già al layout del proprio myspace.
(Ora precisamente non mi ricordo più dove volevo andare a parare, però la fanzine, insomma, è carina. Per info scrivete a balladrymag@mail.com)
6 settembre 2009
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