22 giugno 2009

Steve Gunn/Shawn David McMillen – End of the City (Abaddon/Abandon Ship/DNT, 2009)

Questo, in tanta musica weird e free qualcosa, sembra quasi un disco normale. Prodotto da una cordata di etichette ormai note fra gli appassionati, abbiamo a che fare con uno split LP che per una volta ci mostra due facce della stessa medaglia. Tanto per cominciare i musicisti coinvolti hanno un comune retroterra weird/psych/folk piuttosto visibile: Shawn David McMillen è noto per la sua esperienza nei Warmer Milks, mentre Steve Gunn prima di gettarsi in una fresca (ma già prolifica) carriera solista, è stato membro dei GHQ.
Il lato di McMillen evoca immediatamente un'atmosfera sospesa che viene riempita da una voce recitante, qualche nota di piano e cinguettii in loop. La reiterazione, la circolarità diventa insieme alla stratificazione l'elemento dominante della lunga traccia, quando non di tutto il disco. Il tessuto della composizione, infatti, tende a ispessirsi per minime variazioni/addizioni, con la sensazione che a McMillen piaccia giocare coi pieni piuttosto che coi vuoti. (Ed è una fortuna, perché quando il suono si fa troppo minimale scatena il lato peggiore dei critici che, di fronte a un tale deserto, hanno così un'ottima occasione per costruirci intorno giustificazioni teoriche che stanno solo nella loro testa). Mentre qui invece la musica ci avvolge sempre più, fra battiti, il piano che ricompare sul finale, un flauto che arriva da chissà dove e viene sepolto da una specie di sarabanda che, a sua volta, sfocia in un flusso di chitarra che rivela il lato più psych/folk del suo autore. Dimenticate gli eccessi dei Warmer Milks, ma abbiate fede nella testa malata di McMillen.
Il brano di Steve Gunn, registrato l'estate scorsa, è meno vario ma sembra poter andare ancora più in profondità. Gli arpeggi iniziali partono quasi in sordina, come semplice accompagnamento della cappa elettronica fatta di luci ed ombre che si muove in primo piano. Le note di chitarra se ne stanno così, sembrano guardarsi intorno. Invece il movimento s'inverte progressivamente ed è la chitarra a riemergere, grazie a un fingerpicking limpido, solare quasi, dal taglio piuttosto "classico" che trascina l'ascoltatore al centro di una specie di luogo puro e incontaminato. Anche quando il ritmo si fa più ossessivo - quantomeno per la circolarità del suo incedere - si resta sempre entro i limiti della dimensione creata da Gunn, senza tentazioni free. Si sente che Steve è in stato di grazia anche se, non avendo ascoltato le sue prove successive, non sappiamo quanto questo pregio alla lunga possa essere diventato un elemento castrante. Vista la qualità del pezzo sarei comunque più che ottimista.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

i miei complimenti per le poche cose che scrivete. Se foste tanto assidui quanto stronzi sareste in lista per il pulitzer.

Sirio.

Roberto A. Canella ha detto...

ci piacerebbe dirti "pochi ma buoni" ma in realtà siamo degli amabili cazzoni che eiaculano inchiostro anche altrove e che non credono più moltissimo nel progetto iniziale. non penso che vedra più di una manciata di post all'anno... in ogni caso grazie...