Che ci sia una tendenza in atto, è evidente. Curioso è semmai che tale tendenza non abbia ancora un nome, e questo rimane un cruccio per chi, vuoi per deformazione professionale, vuoi per istinto alla catalogazione, necessita, prima ancora che del fenomeno, di un’etichetta spendibile buona a circoscriverlo. I tentativi non sono mancati: il concetto di art brut, come detto, è un primo indizio; ma è chiaro che solo una minima parte degli outsider artists attuali può essere ricondotta a un fenomeno già storicizzato e dai caratteri comunque ben precisi. Si è parlato di “neopsichedelici”, di “neoluddisti”: definizioni per loro natura improprie e sottilmente caricaturali, aleatorie anzichenò. Recentemente ho sentito parlare di stoner doodle, una specie di new pop infantile che descriverebbe bene molti dei materiali in questione: disegni per bambini, architetture optical, geometrie sbilenche alla Mark Beyer, schizzi e sputazzi a pennarello, ricordi lisergici, veleni industriali, copy art di serie B, pop alla diossina, sono tutti ingredienti plausibili e anzi espliciti quando si ha a che fare con gli artisti/illustratori che ci interessano. Che sono tanti, e sparsi un po’ ovunque: andando alla rinfusa, oltre alla Francia, vale la pena ricordare il Belgio di gente come Dennys Tyfus e Bart De Paepe (guardacaso rispettivamente boss di etichette come la storica Ultra Eczema e la più piccola Sloow Tapes), la Finlandia di una rivista come Glomp (con dentro tutti gli agitatori del finnish freak folk, per capirci), la Danimarca di Smittekilde (tanto fanzine quanto editore sia cartaceo che vinilico) e diverse altre realtà sparse dalla Spagna alla Germania, passando per l’Inghilterra.
In Italia la situazione è ancora in divenire: i tentativi ci sono, ma manca soprattutto il contatto tra brutture visive e infamie musicali. Qualcosa si muove nel Nord Est di gente come Canedicoda (sua la nuovissima ‘zine Faronte) e giro 8mm recs, oppure Kabu e da lì Dokuro Records. E ovviamente, anche per interessi personali, non posso non citare il buon Bomba e il party Spasticalia a Roma, anche perché lo stesso Bomba è quello che, a quanto pare, più di tutti ha stretto contatti con la comunità parigina facente capo a Eugene Kerozen, quasi un mostro sacro dell’universo graphzine. Tanto per dire, c’è lui dietro Nazi Knife, pubblicazione arrivata ora al quarto numero e vero e proprio gioiello di grafiche storte.
In realtà Nazi Knife nasce per mano di Jonas Delaborde, uno che, se frequentate la noise label Tanzprocesz, dovreste conoscere bene (è il curatore della serie a cassette Procession Tapes; sue, ovviamente, sono tutte le copertine). I precedenti numeri della rivista si erano già segnalati tra il meglio del meglio della scena, ma questo NK#4 va oltre: interamente a colori, curatissimo nei particolari, nei dettagli, nella scelta degli ospiti, Nazi Knife fa sfilare uno appresso all’altro gente che nemmeno sospettavo fosse in grado di tenere una matita in mano quali John Olson e Dominick Fernow/Prurient, assieme a vecchie stelle dell’era Fort Thunder come Mat Brinkman e Christopher Forgues/Kites, senza ovviamente contare eroi dell’art brut francese come l’anglopargino Andy Bolus/Evil Moisture, Hendrik Hegray, e gli stessi Delaborde e Kerozen. Il risultato è, semplicemente, eccezionale: una specie di quaderno dai colori esplosi che tenta di descrivere, attraverso mille segni e mille tratti diversi, un’unica, indigeribile saga horror-psichedelica, e poco importa se a svilupparne i capitoli sono autori tra loro spesso diversi assai: l’indole, quella sì, è unica, lo spirito lo stesso, l’epica irrimediabilmente rancida.
Ancora oltralpe ma più a ovest, per la precisione a Rennes, muovono invece le edizioni Kaugummi, di cui Kaugummi Magazine (qui al suo terzo numero) è una specie di vetrina-manifesto. Rispetto a Nazi Knife la pubblicazione è ugualmente curata ma tutta in bianco e nero, e ovviamente molti sono i nomi in comune, a cominciare dagli stessi Kerozen, Delaborde, Bolus & co (a Parigi è facile incontrarli dalle parti della Miroiterie). Sfogliarne le pagine è, di nuovo, un piacere ludico e perverso al tempo stesso: l’assenza di colore, a eccezione di un paio di pagine blu firmate Matt Lock, alimenta il senso di sporcizia che nei contributi di Brent Wadden, Sekitani, e del finlandese Jaakko Pallasvuo (rimediatevi la sua ‘zine per Sloow Tapes) raggiunge vette di delirante infantilismo. Meno coeso di Nazi Knife, ma altrettanto schizofrenico, Kaugummi Magazine deve far mostra di sé sui vostri scaffali, e già che ci siamo ricordiamo che il suo curatore, Bartolomé Sanson, è lo stesso che anima l’eccellente music-blog Dolphin Island, dedicato a – dice lui – “free & psych drones, noise, freak folk and all of this kind of stuff”.
3 commenti:
Ben fatto ragazzo, come sempre! Un bel pò di roba da vedere per la gioia anche dell'occhio.
Periodo Bianco
è bello
leggo solo ora, contento di sapere che ancora in italia si cerchi di promuovere questo tipo di grafica, in particolare quella francese... l'impresa è comunque ardua... avevo provato qualche anno fa, insieme a gianluca viano e marco corona, con "fetus", piccola (ma agguerrita) distribuzione di materiale grafico (le dernier cri, chacal puant, gotoproduction, l'association, ecc.)...
gianluca ha poi pubblicato la gustosissima rivista "fetus" (ancora disponibile da sottomondo.com) che fortemente consiglio... per ora fetus risulta in animazione sospesa, ma chissà, in un prossimo futuro, forse...
roberto cavallera
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