La prima volta che m’imbattei nei Robedoor non sapevo chi fossero, ne da dove venissero. Il classico ascolto cieco che non volli corroborare neanche con la rituale ricerca webbica, quella che ti dice subito chi, come, dove e perché, e che toglie forse un po’ di magia all’atto. Desideravo provare nuovamente il gusto dell’ascolto a sorpresa, e maledizione, valutando a posteriori fu un errore decisivo. Ora, si dà il caso che in quel periodo gli altoparlanti del mio stereo fossero quasi del tutto fuori uso, massacrati (un triste giorno) senza pietà dalle frequenze impossibili dei Wolf Eyes, a cui aveva fatto immediatamente seguito una retrospettiva sugli Unsane…si si me l’ero cercata.
Comunque, avete presente il tipico fruscio da cassa sfondata che sembra divorarti i timpani, e che all’aumentare del volume diventa sempre più denso e disarticolato? Questi sono i Robedoor e non scherzo. Cioè, il suono oscuro e raggelante me li fece inizialmente scambiare per Vidna Obmana o una cosa simile, poiché attribuii quel grattugiare fastidioso ai subwoofer oramai spacciati. Così rimasi piuttosto esterrefatto quando scoprii che quelle pozze stagnanti di melma dronica non erano per niente frutto degli altoparlanti sfasciati. Si insomma, il tutto si risolveva in un bell’impasto di Skaters, Double Leopards e Skullflower, con un po’ di dark ambient vecchia maniera ad aromatizzare la portata. Invero, una miscela potenzialmente esplosiva.
Detto questo, gli album dei Robedoor sono praticamente tutti uguali, quindi sentito uno sentiti tutti. Eppure ogni ascolto è una discesa in un diverso girone dell’inferno, qualora si riesca a superare l’impatto discretamente doloroso con il loro wall of sound spesso e impenetrabile, sia chiaro.
E questo “Rancor Keeper”? Iniziamo col dire che trattasi di un cd vero e proprio -non del solito cd-r, formato che i Robedoor utilizzano parecchio- uscito a fine dicembre sulla benemerita Release The Bats. Sono quattro tracce di drone ambient lo-fi avariato, inquinato da scorie radioattive e inserti proto-noise virati in salsa tribale. Come? Che diavolo dico? Avete ragione. Diciamo allora che “Rancor Keeper” è il top della mondezza rumoristica -va bene così?- e il signore mi fulmini se sto dicendo il falso.
Quattro tracce da ambulatorio come una sola suite senza soluzione di continuità. Buchi neri che collassano, “voci“ spettrali che emergono dal profondo, facce che sbucano dalle mura in piena notte, malattie mentali che si fanno suono. Insomma, coltri su coltri di rumore disastrato, inquietante, che mi ricordano i solaris post nucleari del neozelandese Clinton Williams AKA Omit.
Sicuri di volerlo ascoltare? Mah, ai tempi del militare ho visto marcare neuro per molto meno…
16 gennaio 2008
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3 commenti:
a me è piaciuto molto, è la cosa migliore fatta dal gruppo di Britt "Not Not Fun" Brown.
Notare la copertina di chiara ispirazione cthuluhiana, o forse sono io che sono fissato.
no no è proprio CHTULHU!!!!
A me, che però l'ho ascoltato, al solito, in frettissima non è sembrato male ma più che altro mi pareva più leggero e ambient del solito, o forse lo è solo a tratti. Ad ogni modo mi piaceva anche un altro loro cd-r con un titolo trucido tipo che c'erano di mezzo vampiri e amenità simili...
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